Il fascicolo sugli «incidenti con persone» lungo la linea ferroviaria Ventimiglia-Nizza (fig. 1), affidato a Sarah Bachellerie da un ferroviere in pensione, è particolarmente prezioso, in quanto le fonti di dati sui decessi ai confini delle persone in migrazione sono rare.
Per quanto riguarda il confine italo-francese tra la Liguria e le Alpi Marittime, le informazioni che si possono ottenere dalla stampa sono molto frammentarie: non ve n’è quasi traccia, ad esempio, nel quotidiano Nice-Matin per il periodo contemporaneo. Quando i media riferiscono di decessi, le informazioni sulle vittime sono incomplete. I dati a disposizione di chi opera sul posto (polizia, medici, vigili del fuoco) non sono accessibili. I comuni, che rilasciano i certificati di morte, non fanno circolare le informazioni. Almeno per il momento, i dati contenuti in questo fascicolo sono l’unica base per poter stimare il numero di persone morte lungo questo confine negli anni Novanta.
Non sappiamo perché chi ha disegnato questo schema abbia deciso di creare una categoria a parte per i «clandestini». Eppure, questa definizione risponde ad una logica che, a nostro avviso, ha senso: il suicidio è un’ipotesi improbabile, il termine incidente, spesso utilizzato dai media, inopportuno. Infatti, il discorso dei media e della politica fa troppo spesso eco a quello delle autorità. Le persone che muoiono lungo il percorso migratorio non sono vittime della loro irresponsabilità e della loro propensione al rischio; non muoiono a causa del freddo, della neve, del deserto, del mare o delle montagne. Questa «visione semplicistica» oscura «le circostanze di questa assunzione di rischio», come sottolineano lɜ autorɜ di La mort aux frontières de l’Europe : retrouver, identifier, commémorer [1]. O, come abbiamo sottolineato nel rapporto pubblicato nell’ambito della controinchiesta sulla morte di Blessing Matthew - una giovane donna di origine nigeriana morta nel maggio 2018 nel dipartimento francese delle Hautes-Alpes - «La morte di Blessing non è un evento isolato, ma il risultato di una congiuntura di decisioni politiche e pratiche di polizia che mettono in pericolo lɜ migrantɜ provenienti dai Paesi del ’Sud globale’ mentre attraversano le frontiere alpine» [2].
Le otto persone menzionate nel diagramma precedente (fig. 2), come Blessing, sono morte perché è stato loro impedito di passare attraverso i valichi di frontiera ufficiali. Se fossero state autorizzate a farlo, lo avrebbero certamente fatto. Tuttavia - e nonostante l’istituzione di un’area di libera circolazione sul territorio europeo a partire dal marzo 1995 - i controlli alle frontiere interne non sono stati «aboliti»: sono stati riconfigurati in controlli mobili, e persino facilitati, come afferma Sara Casella-Colombeau:
I controlli «fissi e sistematici» sono sostituiti da controlli «aleatori e mobili», limitati a un’area specifica, la «zona Schengen», delimitata da una striscia di 20 km su entrambi i lati di ciascuna frontiera interna dell’area Schengen. [...] I controlli di identità nella zona di frontiera interna sono quindi facilitati [3].
A partire dagli anni ’90, i controlli di frontiera sono diventati mobili e si sono concentrati soprattutto sui percorsi ad alta velocità utilizzati dellɜ viaggiatorɜ internazionalɜ, tra cui le linee ferrovie: in un primo tempo nelle stazioni lungo la linea del treno regionale Ventimiglia-Cannes, poi lungo il tratto ferroviario e infine sui treni. Di conseguenza, per evitare i controlli di polizia, le persone utilizzano percorsi alternativi, meno controllati. Una delle principali strategie di attraversamento è quella di camminare lungo la linea ferroviaria tra Ventimiglia e Mentone o, più occasionalmente, tra Ventimiglia e Breil-sur-Roya. Gli ultimi treni partono da Ventimiglia nelle prime ore della sera, lasciando la linea ferroviaria «libera». Tuttavia, se i treni che trasportano passeggerɜ non circolano di notte, i treni merci continuano ininterrottamente giorno e notte, un dettaglio spesso trascurato da chi tenta l’attraversamento del confine sperando di approfittare della notte per rendersi meno visibile...
Sebbene questo tipo di attraversamento abbia causato molti morti negli ultimi tre o quattro decenni, le tracce di questi incidenti sono molto rare. Il fascicolo compilato dal sindacato è quindi un documento di grande valore perché documenta fatti largamente sottovalutati. Ad eccezione dei ferrovieri, i passaggi delle persone in migrazione era in gran parte invisibile alla popolazione locale. Oggi sono stati cancellati dalla memoria collettiva.
Oggi è molto difficile stabilire quali di questi decessi riguardassero persone in migrazione. Secondo le informazioni raccolte da un ferroviere in pensione, gli incidenti registrati tra Mentone-Garavan e Ventimiglia «erano tutti clandestini» perché in quel punto non c’erano altri viaggiatori che camminavano lungo i binari. Altri indizi, sempre secondo lo stesso sindacalista, lo attestano, in particolare gli abiti che le persone indossavano.
Grazie ai dati raccolti dal sindacato sia sullo schema che negli elenchi degli incidenti (vedi un esempio qui sotto, figg. 3 e 4), possiamo stimare che 29 persone siano morte in transito lungo la ferrovia tra il 1984 e il 2005. Solo due vittime sono identificate con un nome.
Il fatto che questi decessi, indicati con una categoria a parte e designata «immigrati clandestini», siano stati rivelati in un fascicolo sugli «incidenti con persone» redatto dal Comitato per la salute, la sicurezza e le condizioni di lavoro (CHSCT) del sindacato CGT, dimostra anche che il controllo dell’immigrazione non riguarda solo le persone in migrazione che sono oggetto di questi dispositivi, ma concerne anche lɜ lavoratorɜ e lɜ residentɜ che frequentano quotidianamente l’area di confine e che si ritrovano ad essere testimoni involontari o addirittura parti in causa nel processo di frontierizzazione. Nel fascicolo sono contenuti rapporti redatti dallɜ lavoratorɜ delle ferrovie a seguito di incidenti avvenuti durante il lavoro in cui evidenziano i postumi psicologici che devono affrontare.
Possiamo citare come esempio le considerazioni in merito all’incidente del 19 dicembre 1992. In seguito a questo evento, il ferroviere che ha urtato la vittima è stato assente dal lavoro per malattia per una durata di 7 giorni (fig. 5):
«Durante il traino del treno 752321, il 19 dicembre 1992 intorno all’1h 25, il macchinista si è scontrato con un membro di un gruppo che si muoveva lungo i binari a PK 252.700 V1. Il macchinista ha subito uno shock psicologico. Nota: l’agente ha vissuto un incidente in circostanze simili nello stesso luogo pochi giorni prima (27/11/92)».
Questi dati mostrano che, ieri come oggi, le strategie di attraversamento – e quindi l’assunzione di rischi – si adattano alle modalità in cui avvengono i controlli ai confini. In questa regione è soprattutto la linea ferroviaria a trasformarsi in confine, un processo descritto come “borderizzazione delle infrastrutture” dal filosofo Huub Dijstelbloem (2021).
Références:
- Bachellerie Sarah, Del Biaggio Cristina, Heller Charles, et Pezzani Lorenzo, 2022, « La mort de Blessing Matthew – Une contre-enquête sur la violence aux frontières alpines ». Border Forensics.
- Casella-Colombeau Sara, 2010, « La frontière définie par les policiers ». Plein Droit, 4(87): 12‑15.
- Dijstelbloem Huub, 2021, Borders as Infrastructure: The Technopolitics of Border Control. The MIT Press.
- Kobelinsky Carolina, Le Courant Stefan (éds.), 2017, La mort aux frontières de l’Europe: retrouver, identifier, commémorer. Neuvy-en-Champange: Le passager clandestin.