Nelle figure che seguono si è provato a dare una rappresentazione cartografica a tutto questo, ovvero mostrare quanto il Servizio Sanitario Nazionale sia attualmente sotto pressione, qual è la sua capacità di rispondere a un’emergenza di questo tipo, e quanto tale capacità si è ridotta negli ultimi anni. Per ottenere una fotografia il più possibile dettagliata dal punto di vista territoriale si è utilizzato prevalentemente il numero di posti letto ospedalieri.
Appare immediatamente evidente che le aree maggiormente colpite sono, per fortuna, tra quelle maggiormente capaci di sostenere l’impatto. Il che probabilmente non è un caso: sono tra le aree più ’ricche’ del paese, più produttive e quindi interconnesse con altre aree e paesi, più dense di popolazione e attività, e quindi più esposte al pericolo di contagio. Uno dei meriti principali delle misure di distanziamento sociale è quello di aver impedito (per ora) che il contagio si diffondesse nelle aree meno capaci, in particolare al Sud.
Le carte mostrano tuttavia che la capacità complessiva del sistema ospedaliero è quasi ovunque estremamente bassa, in particolare per quel che riguarda i reparti adatti ad ospitare malati di coronavirus, ovvero affetti da crisi respiratorie: i reparti di terapia intensiva, di pneumologia, e di malattie tropicali. Nelle carte il dato è riferito alle Province. Più sotto si riporta invece una tabella dove si presentano diversi dati riguardanti le Regioni.
Per fornire un livello di dettaglio territoriale ancora maggiore, si è cercato di delimitare il territorio in bacini ospedalieri. I bacini sono stati individuati tramite diagramma di Voronoi, a partire della localizzazione di ogni singola struttura ospedaliera che ospita un reparto di terapia intensiva. I bacini più piccoli di 500 km2 sono stati poi aggregati a quelli contigui, sia per ragioni grafiche, sia perché si tratta di ospedali relativamente vicini tra di loro e i cui bacini di utenza sono per questo potenzialmente sovrapposti.
In entrambi i casi, ovvero sia nell’analisi a scala provinciale che di bacino ospedaliero, gli indicatori sono stati calcolati sommando i valori per area con quelli di tutte le aree contigue, al fine di ’spazializzare’ la variabile per rendere la distribuzione territoriale del fenomeno più facilmente leggibile, e considerando che eventuali ricoveri non avvengono necessariamente negli ospedali più prossimi ai luoghi di residenza.
Gli studi sul Servizio Sanitario si basano quasi sempre su dati e analisi a scala regionale. Questo è, da un lato, giustificato dal fatto che in Italia la gestione della sanità pubblica è competenza delle Regioni. D’altro lato, come si vede nelle carte, la situazione può essere anche molto diversificata all’interno di ogni Regione. E la pandemia di coronavirus sta colpendo in maniera particolare alcuni specifici territori. E’ noto poi che, cambiando la scala di rappresentazione e di analisi, l’immagine che ne deriva possa cambiare radicalmente.
Nelle carte, e dalla tabella qui sotto, emergono innanzitutto i consueti squilibri tra Nord e Sud del paese. Ma emergono anche le enormi difficoltà di alcune Regioni del Centronord quali il Piemonte, la Liguria e il Lazio. Il problema, a ben vedere, riguarda in misura minore o maggiore l’intera penisola.
Come si è arrivati fin qui? Nelle carte che seguono si vede chiaramente come anche nelle zone dove il Servizio Sanitario è più efficacie, la capacità degli ospedali ha subito complessivamente una forte riduzione, soprattutto in termini di posti letto ordinari. I posti letto in terapia intensiva, a ben vedere, hanno avuto un lieve aumento in questi anni, pari a +1,2% su base annuale dal 2010 al 2018. Ma i tre reparti considerati idonei al ricovero di pazienti affetti da coronavirus hanno subito complessivamente una riduzione, sebbene notevolmente inferiore alla riduzione dei posti letto ordinari.
La riduzione dei posti letto ospedalieri è in realtà un fenomeno di più lunga durata che caratterizza tutti i paesi occidentali. Secondo i dati OCSE, in Italia il numero di posti letto per la cura di casi ’acuti’ ogni 1.000 abitanti era pari a 10 nel 1977, 8 nel 1985, 6 nel 1995, 4 nel 2001, 3 nel 2010 ed è oggi pari a circa 2,5. Tale riduzione è anche dovuta alla riduzione dei tempi di degenza e al minore ricorso all’ospedalizzazione, ma è correlata ad altri fenomeni quali la riduzione del personale medico o alla riduzione del numero dei medici di base.
In ogni caso, non si vuole in alcun modo sostenere che per una efficace gestione di emergenze di questo tipo sia necessario aumentare la capacità degli ospedali. Trovo anzi molto interessanti le riflessioni e le proposte su come evitare che il ricorso all’ospedalizzazione sia l’unica soluzione possibile, sia perché il sistema ospedaliero non è in grado di reggere l’impatto, sia perché poi si trasforma esso stesso in un veicolo di contagio.
In questi giorni si è discusso molto in Italia e in particolare in Lombardia delle conseguenze negative di un sistema di sanità pubblica estremamente concentrato in un numero relativamente piccolo di strutture ospedaliere sempre più grandi. Si è discusso poi più in generale dei limiti di un sistema sanitario “centrato sul paziente”, e dell’opportunità di sostituirlo con un sistema “centrato sulla comunità” (si veda ad esempio l’articolo di Mirco Nacoti e altri “At the Epicenter of the Covid-19. Pandemic and Humanitarian Crises in Italy”). Ma preferisco lasciare queste valutazioni agli esperti. L’auspicio è che la crisi sia almeno occasione non solo per ripensare l’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, ma anche per apprezzare il ruolo vitale della sanità pubblica, e soprattutto agire di conseguenza.
In questo momento migliaia di medici, infermieri, personale sanitario, stanno combattendo in prima linea, per nostro conto, negli ospedali e nelle strutture sanitarie di base, pagando spesso con la propria stessa vita. Non combattono solo contro una pandemia terribile e improvvisa, ma anche contro scelte criminali che li hanno progressivamente privati di mezzi, risorse, condizioni di sicurezza. Li osserviamo da lontano e possiamo purtroppo fare molto poco, tranne che agire con tutte le nostre forze per fare in modo che non accada mai più.